Giovanni Agnelli (Torino, 12 marzo 1921 – Torino, 24 gennaio 2003) fu un imprenditore e industriale italiano, principale azionista e massimo dirigente della FIAT.
Figlio di Edoardo Agnelli e della principessa Virginia Bourbon del Monte, era il secondo dei sette figli della coppia. Era noto come Gianni Agnelli, e soprannominato l'Avvocato o affettuosamente Gioanin (Giovannino in piemontese) o anche, scherzosamente, Gioanin Lamiera, soprannome diffuso presso gli operai della Fiat.
Ha sposato a Strasburgo nel castello di Osthoffen Marella Caracciolo dei Principi di Castagneto dalla quale ha avuto due figli, Edoardo e Margherita.
Gianni Agnelli fu il nipote dell'omonimo senatore Giovanni Agnelli. Il padre Edoardo morì tragicamente in un incidente aereo quando Gianni aveva 14 anni. Frequenta a Torino il Liceo classico "Massimo d'Azeglio" dove consegue il diploma di maturità nel 1938.
Nel periodo bellico segue un corso di istruzione presso la Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo, nelle vicinanze di Torino, e parte per la guerra, arruolato in un reggimento di carristi che viene inviato verso il fronte russo e poi su quello nord-africano.
Rientrato in patria nel 1941, prosegue gli studi fino ad ottenere la laurea in giurisprudenza, nel1943, presso l'Università di Torino. Dopo l'8 settembre, tenta di rifugiarsi insieme alla sorella Susanna nella tenuta di famiglia posta nella provincia di Arezzo, scortato da un maresciallo dell'esercito tedesco, cui è stata promessa, in compenso, un'automobile nuova. Durante la trasferta la vettura, condotta dal sottufficiale, subisce un grave incidente e il giovane Agnelli, con la gamba destra fratturata, viene ricoverato nel nosocomio del capoluogo toscano, ove il 23 agosto 1944 giungono le truppe alleate. Terminata la lunga degenza, si trasferisce a Roma, arruolato quale ufficiale di collegamento del Corpo Italiano di Liberazione con le truppe alleate.
Nel novembre del 1945 anche la madre viene coinvolta in un incidente automobilistico mortale, nei pressi di Pisa, rimanendone vittima.
Appena terminata la Seconda guerra mondiale, a 25 anni diviene presidente della RIV, la società di produzione di cuscinetti a sfere fondata da Roberto Incerti e dal nonno nel 1906: l'incarico però ha una connotazione praticamente solo rappresentativa.
Nello stesso anno viene eletto sindaco di Villar Perosa, un paese ubicato poco dopo Pinerolo lungo la statale del Sestrière. È il paese ove la famiglia risiede d'estate (e da dove la stessa proviene) ed è proprio Villar Perosa la città che ospita anche il primo stabilimento RIV. Non si tratta di un incarico molto impegnativo e Agnelli lo manterrà per quasi trent'anni.
Tra la fine del 1945 e l'inizio del 1946 si trova coinvolto, in rappresentanza della famiglia, in complesse trattative fra il CLN, le autorità alleate di occupazione ed il governo italiano provvisorio, per la normalizzazione della conduzione della FIAT, della quale la famiglia Agnelli è ancora il principale azionista ed il 23 febbraio 1946 firma egli stesso l'accordo che ricostituisce il consiglio di amministrazione della società e ristabilisce Vittorio Valletta, precedentemente estromesso con l'accusa di collaborazionismo con i tedeschi, nella carica di amministratore delegato.
Al termine del 1946, a quasi un anno dal decesso del nonno, Vittorio Valletta, divenuto dominus indiscusso della azienda, ebbe un colloquio con il giovane successore del defunto senatore per decidere delle sorti dell'azienda. Il sessantatreenne manager, pose al nuovo proprietario questo dilemma: "Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io", al quale il giovane Agnelli rispose: "Ma di certo voi, professore". Con questa risposta il "professore" si è guadagnato la sua autonomia manageriale ed il giovane erede la sua libertà di godersi la giovinezza, seguendo un consiglio che gli avrebbe dato lo stesso nonno: "Prenditi qualche anno di libertà prima di immergerti nelle preoccupazioni dell'azienda". In seguito, comunque, Valletta lamenterà, più volte, l'eccessiva latitanza del principale azionista dall'impegno aziendale.
Intanto, già nel 1947 Gianni Agnelli diviene Presidente della squadra di calcio che il padre Edoardo aveva portato al ruolo di "prima donna" nel calcio italiano: la Juventus, squadra cui sarà affezionato per tutta la vita.
Viaggia in continuazione in tutto il mondo, frequentando i luoghi più mondani d'Europa, le persone più famose del jet-set internazionale: attrici, principi, magnati, uomini politici (i suoi rapporti di amicizia con John Fitzgerald Kennedy risalgono a quegli anni). Intreccia numerose relazioni sentimentali, delle quali solo una, peraltro piuttosto burrascosa, farebbe pensare ad un legame stabile: è il rapporto con Pamela Digby (1920 – 1997), già Pamela Digby-Churchill, ex nuora di Winston Churchill, avendone sposato il figlio Randolph. Al termine di questa relazione, nell'estate del 1952 Gianni è vittima di un terribile incidente d'auto: correndo da Torino verso Montecarlo, si schianta contro un autocarro. Lo estraggono dalle lamiere piuttosto malconcio, la gamba destra è nuovamente, seriamente ferita e per la seconda volta rischia l'amputazione. La gamba sarà operata più volte ma una complessa protesi gli consentirà di continuare a praticare uno dei suoi sport preferiti: lo sci (e sarà proprio sciando che se la romperà per la terza volta nel 1987). Supera l'incidente abbastanza bene, tuttavia rimarrà leggermente, ma visibilmente, claudicante per tutta la vita.
Nel 1953 sposa la principessa Marella Caracciolo di Castagneto, appartenente ad un'antica nobile famiglia di origini napoletane. Nel 1959diviene presidente dell'Istituto Finanziario Industriale (IFI), una società finanziaria pura che è una delle casseforti di famiglia e che assieme all'IFIL, altra cassaforte di famiglia, controllano la Fiat. Diventa inoltre Amministratore Delegato della stessa Fiat nel 1963, una carica che deve condividere con Gaudenzio Bono, un "vallettiano" a tutto tondo, ed in ogni caso il timone dell'azienda automobilistica rimane per ora nelle mani del "professore" sempre presidente.
Gianni "eredita" dal nonno nel 1966 il comando dell'azienda di famiglia dopo un periodo ventennale di "reggenza" da parte di Vittorio Valletta. Insediatosi al timone della Fiat all'età di 45 anni, dopo avervi svolto praticamente solo ruoli di rappresentanza, Gianni Agnelli si trova dinnanzi a due problemi: l'esecuzione dell'accordo con l'Unione Sovietica per la costruzione di uno stabilimento presso una cittadina sul Volga (che verrà chiamata Togliatti), per il quale la Fiat deve fornire all'Autoprominport (l'ente sovietico preposto) lo stabilimento "chiavi in mano" ed il know-how per la produzione.
Il contratto è stata l'ultima opera di Valletta, ma la gestione non si presenta particolarmente onerosa: i sovietici rispettano i termini stabiliti e tutto procede.
Il secondo problema è assai più grave. Cedendo alle insistenze del presidente dell'Alfa Romeo Luraghi, che da anni va predicando l'impossibilità di far quadrare i conti aziendali senza un'adeguata "massa critica" di volumi produttivi, il governo italiano ha deciso di finanziare l'Alfa per la costruzione di uno stabilimento nell'Italia meridionale ove si produca un modello di autovettura di livello medio, nella stessa fascia di mercato, più o meno, della Fiat 128, che verrà lanciata di lì a poco.
Secondo Gianni Agnelli, nell'orticello del mercato italiano dell'auto di fascia bassa e media, concupito già dalle concorrenti europee grazie alla graduale riduzione dei dazi all'interno della CEE, non c'è spazio per un altro concorrente italiano, specialmente se questo può contare sui finanziamenti a carico del contribuente. Ma tutti i tentativi per contrastare a livello politico questo progetto falliscono; la sede designata èPomigliano d'Arco, un paese a pochi chilometri da Napoli ove già operano la piccola Alfa Motori Avio, e l'Aerfer, azienda parastatale di medie dimensioni, che produce parti di velivoli commerciali per conto di grosse aziende americane.
Per trovare i quadri tecnici intermedi in numero sufficiente a far funzionare lo stabilimento, la neonata Alfasud non può che rivolgersi alla Fiatcui sottrae questi personaggi offrendo loro stipendi di entità superiore rispetto a quelli dell'azienda torinese.
Gianni Agnelli decide di disfarsi di quelle produzioni che richiedono continui investimenti e la cui redditività è precaria e condizionata (non solo sul mercato italiano) da scelte spesso legate a decisioni di carattere politico. Vengono così cedute alla Finmeccanica il 50% della Grandi Motori, detta Divisione Mare, specializzata in motori marini a ciclo Diesel per grosse navi, che sarà trasferita a Trieste con il nome iniziale di Grandi Motori Trieste.
Analogamente si procede con la cosiddetta Fiat Velivoli, specializzata in fabbricazione di aerei, prevalentemente di uso militare, spesso su licenza di grosse aziende estere, che viene aggregata alla Aerfer di Pomigliano d'Arco, nella società a partecipazione statale Aeritalia (divenuta molti anni dopo Alenia). La partecipazione Fiat rimarrà solo un fatto finanziario, poiché il controllo operativo è di Finmeccanica: il restante 50% delle azioni verrà definitivamente alienato da Fiat nel 1975. Così va anche per altre realtà minori.
Nel 1969 viene acquisita dalla famiglia Pesenti, ad un prezzo simbolico, la Lancia, glorioso marchio di auto di prestigio (era detta "la Mercedes italiana") fondata a Torino da Vincenzo Lancia nel 1907, ormai in stato di quasi decozione. Nello stesso anno Ferrari cede alla Fiat il controllo della sua casa di auto da corsa.
Il sogno di Gianni Agnelli è l'internazionalizzazione della Fiat. Due anni dopo l'assunzione della guida della Fiat, Gianni Agnelli concorda con François Michelin, proprietario del pacchetto di controllo della Citroën, che si trova in cattive acque, l'acquisto della partecipazione con l'intenzione di giungere successivamente al controllo totale della casa automobilistica francese.
La sinergia fra i due costruttori europei sembra promettere bene: Citroën è un marchio prestigioso, con buona fama nella produzione di auto di alta gamma, la Fiat ugualmente nelle utilitarie. L'accordo si conclude, al vertice Citroën arrivano uomini Fiat ma ci si mette di traverso l'opposizione di stampo nazionalistico di Charles De Gaulle, presidente della Repubblica francese: alla Fiat viene fatto divieto di acquisire la maggioranza delle azioni Citroën. Le incomprensioni fra i tecnici italiani ed i tecnici francesi compiono il resto: la Fiat, senza il controllo totale dell'azienda non può imporre nulla senza accordo con le altre forze nel gioco, può solo investire per ammodernare impianti e strutture.
Alla fine, quattro anni dopo, il sogno si infrange e Gianni Agnelli dovrà rinunciare alla sua internazionalizzazione, almeno attraverso questa via, e la quota Fiat viene ceduta alla Peugeot. Poco dopo verrà decisa l'avventura di una produzione oltre oceano: creare uno stabilimento in Brasile (Belo Horizonte nello stato di Minas Gerais) ove si produrrà inizialmente la 127 opportunamente modificata per quel mercato (il nome del modello brasiliano sarà 147).
Non sono trascorsi che tre anni dal suo insediamento al vertice della FIAT che Gianni Agnelli deve affrontare un problema piuttosto difficile: il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici (1969). La vertenza procede per tutta la prima metà dell'anno più o meno aspramente rispetto alle volte precedenti, ma all'inizio di settembre le cose cambiano radicalmente ed emergono nuove, inattese forme di sciopero: incomincia quello che verrà subito battezzato autunno caldo.
Iniziano i carrellisti di Mirafiori, Stabilimento Presse: scioperano al di fuori delle direttive del sindacato, sono scioperi improvvisi, mezza giornata o meno per volta, ma l'effetto è paralizzante. Il loro compito è trasportare le parti di carrozzeria appena stampate dalle presse alla catena di montaggio: fermi loro, ferma tutta la produzione. In un primo momento il sindacato disapprova queste forme di protesta spontanee e autonome, poi tenta di farle rientrare nell'alveo della propria iniziativa, agevolato anche dalla posizione dell'Azienda, che vuole un unico interlocutore ufficiale di fronte alle maestranze. Iniziano, così, forme di sciopero del tutto nuove: si entra al mattino alle 8 al lavoro ma dopo venti minuti passano delegati nei vari reparti ad annunciare uno sciopero improvviso che inizierà alle otto e trenta e durerà fino all'ora di pranzo (od analogamente al pomeriggio). Tutto ciò a rotazione: ora in uno stabilimento, ora nell'altro. Si formano nelle officine cortei (detti "serpentoni") di operai muniti di fischietti ed altri strumenti sonori che percorrono i locali invitando i colleghi riluttanti ad astenersi dal lavoro. Quasi sempre invadono anche le Palazzine uffici, rendendo problematiche le condizioni per lavorare per gli impiegati che non vogliono scioperare. Si verificano anche degli episodi di violenza, sui quali l'azienda non interviene, per non inasprire gli animi ed evitare danni alle persone ed alle apparecchiature.
Dal punto di vista del business le cose vanno bene: la crisi economica del 1964 è ormai superata, la richiesta di autovetture è in continuo aumento, tanto che la Fiat non riesce a soddisfarla ed i tempi di consegna si allungano. Proprio in quest'autunno entra in funzione lo stabilimento di Rivalta di Torino, ove si provvederà al montaggio della nuova media cilindrata (per quei tempi), la 128, destinata a prendere il posto della famosa 1100 (mod. 103). È un'auto dalla linea moderna ed accattivante, il prezzo è contenuto e piace subito, ma per averla bisogna attendere fino a nove mesi.
La vertenza si chiude nel gennaio del 1970 con un nuovo oneroso contratto per le aziende, con concessioni normative consistenti che incideranno pesantemente sui bilanci futuri. Fra l'altro vengono abolite le differenze territoriali per la determinazione del minimo sindacale del salario (fino a quel momento i salari minimi sono differenziati per provincia, a seconda dell'indice del costo della vita locale elaborato dall'ISTAT) cosicché il neoassunto a Milano percepirà, a parità di inquadramento, lo stesso salario di quello assunto a Palermo.
Si valuta che la perdita di produzione durante il periodo "caldo" ammonti ad oltre 130.000 vetture (ma c'è chi dice molto di più, oltre 270.000: si tratta di vedere entro quali termini temporali viene considerato il periodo "caldo"). Intanto gli effetti dell'apertura dei mercati all'interno della CEE si fa sentire e la concorrenza straniera aumenta la sua penetrazione in Italia.
Nella prima metà degli anni settanta Gianni Agnelli deve affrontare la prima grossa crisi della Fiat, la più grande forse a partire dalla prima guerra mondiale: l'autofinanziamento non è più possibile (l'investimento brasiliano ha pesato non poco ed i primi risultati sono deludenti, le vendite di auto in Italia calano e la concorrenza straniera, grazie alla piena attuazione del Trattato di Roma in materia di barriere doganali nell'Europa, si fa sempre più agguerrita erodendo alla Fiat quote crescenti di mercato) e la Fiat non può più fare a meno, come è stato fino a quel momento, di ricorrere massicciamente al credito.
Viene assunto in quel periodo un nuovo responsabile della finanza aziendale: Cesare Romiti (autunno del 1974) che raggiungerà nel quasi quarto di secolo di permanenza in Fiat, il massimo vertice. Auspice Romiti, Gianni Agnelli trasforma la Fiat S.p.A. da un'azienda industriale in una holding finanziaria. Da questa dipenderanno tante holding di settore, una per ogni settore produttivo, alle quali saranno sottoposte le rispettive società operative. Il processo dura più di cinque anni e nascono così (citiamo solo quelle di dimensioni maggiori): la Fiat-Allis, settore macchine agricole, l'Iveco, settore veicoli industriali], La Macchine Movimento Terra, la Teksid (fonderie, produzioni metallurgiche ed altro). Ultima, ma solo in ordine di tempo, la Fiat Auto (autovetture e veicoli commerciali leggeri).
Separazione secondo il mercato servito ed internazionalizzazione. L'avvento di Agnelli al timone della Fiat segna anche una svolta nella politica finanziaria della Fiat: l'Avvocato si avvicina sempre più alla Mediobanca di Enrico Cuccia (forse anche a seguito delle traversie finanziarie della Fiat ed ai buoni rapporti che intercorrono fra Romiti e Cuccia) dalla quale il suo predecessore Valletta si era sempre tenuto ad una cortese distanza.
Nel 1976 accadono due nuovi eventi: la meteora De Benedetti e l'alienazione della SAI.
Carlo De Benedetti è un giovane imprenditore rampante: ha rilevato l'azienda del padre, ha acquisito, per poco prezzo e per gradi, alcune aziende operanti nel settore della componentistica auto che non se la passavano bene e le ha ristrutturate e razionalizzate inserendole nella sua Gilardini di cui ha il controllo con il 60% delle azioni. Si avvale di diversi collaboratori ed inoltre dal 1974 al 1976 è stato presidente dell'Unione Industriale di Torino.
Conosciuto il personaggio (è stato compagno di scuola del fratello Umberto) Gianni Agnelli gli propone di entrare in Fiat come Direttore Generale accanto a Romiti. Carlo De Benedetti accetta ma a patto di diventare azionista Fiat, cosicché Gianni Agnelli fa acquistare dalla Fiat la Gilardini (azienda il cui fatturato era prevalentemente costituito dalle forniture alla stessa azienda) e la paga con un pacchetto di azioni Fiat pari a circa il 5% del capitale sociale della medesima. De Benedetti, che si è portato dietro alcuni fedelissimi tra i quali il fratello Franco e l'ingegnere Giorgio Garuzzo, inizia un lavoro di sfoltimento del management aziendale.
Poi improvvisamente, a fine agosto, decide di andarsene. I motivi di questo dietro-front dopo così poco tempo non sono mai stati spiegati chiaramente. Gianni Agnelli gli ricompra il pacchetto di azioni Fiat allo stesso prezzo di valutazione della Gilardini quando quattro mesi prima fu acquisita dalla Fiat, ove rimarrà.
L'altro evento riguarda la Compagnia di assicurazione SAI, di proprietà della famiglia Agnelli. Fondata dal nonno di Gianni negli anni venti per riporci le polizze delle sue aziende e quelle personali, segue lo sviluppo della Fiat giovandosi dell'automatica acquisizione del cliente che acquista a rate l'autovettura con patto di riservato dominio e con finanziamento SAVA (la società della Fiat che fornisce il credito alla clientela).
La quota di controllo della SAI, che è quotata in borsa, è nel portafoglio di una delle "casseforti di famiglia", l'Istituto Finanziario Industriale(IFI). In questo momento è la terza compagnia italiana per raccolta premi e la prima nel settore delle assicurazioni auto (preponderante di molto rispetto agli altri rami eserciti). Questo pare venga considerato il suo tallone d'Achille: le tariffe RC Auto sono bloccate dal Ministero dell'Industria da quando è entrata in vigore l'obbligatorietà dell'assicurazione RC per gli autoveicoli; l'inflazione gonfia i costi di riparazione, qualcuno incomincia a pensare che l'attività assicurativa di questo ramo verrà nazionalizzata.
Nel luglio del 1976 in assemblea viene dato un annuncio improvviso: la compagnia è stata venduta al finanziere Raffaele Ursini. Sembra che la vendita, caldamente patrocinata presso l'Avvocato dal management IFI, si sia rivelata improduttiva per il venditore: il ricavato dell'acquisto, cosa già nota in sede di trattative con Ursini, se ne va quasi tutto nel riacquisto della consistente quota di azioni FIAT, ordinarie e privilegiate, che stavano nel portafoglio della Compagnia.
Il blitz dell'Avvocato irrita il fratello Umberto che al momento della firma del contratto di cessione si trova negli USA e, tornato in Italia, si sarebbe trovato di fronte al fatto compiuto. Sulla vendita si scatenano le polemiche (anche se allora non vi era per questi casi l'obbligo di OPA): il prezzo di vendita, si dice, è stato troppo basso e nell'entourage Fiat si diffonde il malcontento.
Ironia della sorte, un anno dopo il Ministero concederà agli assicuratori il sospirato aumento delle tariffe (20%), la SAI rifiorirà, se mai si era appassita, passerà ancora di mano (da Ursini al costruttore d'immobili Salvatore Ligresti) e, come altre compagnie, tornerà ad essere nel giro di pochi anni altamente redditizia. La Fiat costituirà poco dopo una compagnia propria l'Augusta Assicurazioni, ma rientrerà di fatto nelbusiness assicurativo solo molti anni dopo acquistando il pacchetto di maggioranza della Toro Assicurazioni dal fallimento del Banco Ambrosiano.
Alla fine del 1976 i problemi finanziari sembrano risolti con la cessione di poco più del 9% del capitale FIAT alla Lafico (Lybian Arab Foreign Investiments Company), una banca controllata dal governo libico di Muammar Gheddafi (in dieci anni il socio libico, nel mero ruolo di investitore, arriverà a possedere quasi il 16% del capitale Fiat).
La cessione getta un certo sconcerto negli ambienti politici occidentali per le tensioni esistenti tra la Libia di Gheddafi e diversi altri stati, USA in testa.
La crisi si riaffaccia prepotente a fine anni settanta (la quota di mercato della Fiat Auto in Italia, il mercato più importante per l'azienda torinese, è scesa dal quasi 75% del 1968, a meno di due anni dall'esordio di Gianni Agnelli come responsabile attivo dell'azienda, al 51% del1979, ovvero quasi 25 punti in meno in dieci anni.[17] Nel resto dell'Europa, Spagna esclusa, le cose non sono andate meglio, si passa da un già modesto 6,5% del 1968 al 5,5 del 1979[17]), ma la crisi viene superata grazie alla ottima riuscita di due modelli voluti dal nuovo direttore generale di Fiat Auto, Vittorio Ghidella: la Uno e, successivamente, la Thema.
I rapporti di Gianni Agnelli con le sinistre italiane, specialmente con il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, rappresentarono l'essenza delle relazioni industriali con le forze politiche e specialmente con i sindacati.
Il conflitto vede questi ultimi soccombere quando nel 1980 uno sciopero generale che ha portato al blocco della produzione, (il "blocco" dei cancelli FIAT durò ben 35 giorni) viene spezzato dalla cosiddetta "marcia dei quarantamila", (dal supposto numero dei lavoratori che il 14 ottobre dello stesso anno sfilarono in Torino reclamando il diritto "di poter andare a lavorare"). Questa azione segna un punto di svolta ed una brusca caduta del potere sino ad allora detenuto dai sindacati in Italia, che non avranno più, in seguito, eguale influenza sulla società e sulla politica nazionale.
Va ricordato che durante gli anni di piombo all'interno del sindacato si ipotizzò che potessero essersi infiltrati terroristi, ed a seguito di diversi omicidi di dirigenti e funzionari della Fiat (perpetrati da Brigate Rosse, Prima Linea, Nuclei Armati Proletari ed altri gruppi terroristi), si avanzò infatti il terribile sospetto che il sindacato potesse averli in qualche modo coperti
Si tratta di un periodo in cui le cose vanno abbastanza bene, l'azienda, grazie al successo ottenuto con i nuovi modelli di cui si è detto ed alla riduzione dei costi di produzione ottenuta con una forte spinta all'automazione dei processi produttivi (robotizzazione) che la porta a primeggiare nel mondo in questo campo, produce nuovamente buoni utili per i suoi azionisti ed assume anche nuova mano d'opera.
A metà degli anni ottanta inizia una trattativa di accordo societario con la Ford Europa ma poi, a trattative già avanzate, l'accordo sfuma (ottobre 1985).
Poco dopo Gianni Agnelli strappa proprio alla Ford l'acquisto dall'IRI dell'Alfa Romeo, che il governo italiano ha deciso di vendere. Le offerte dei due contendenti comprendono un corrispettivo a titolo di acquisto più impegni finanziari successivi nella nuova realtà produttiva. In effetti il confronto fra le due offerte non è facile poiché, al di là del mero corrispettivo di acquisto, si inseriscono altri fattori quali: le modalità di pagamento di tale corrispettivo, gli impegni a mantenere i livelli occupazionali dell'Alfa, l'ammontare degli investimenti che i due acquirenti promettono di fare nella azienda acquisita. Queste complessità favoriscono il fiorire di numerose polemiche.
Nell'autunno si risolve poi un problema già vivo da qualche anno: la presenza di una banca dello stato libico nella compagine azionaria. Tale presenza ha già dato luogo a numerosi problemi alla Fiat per i rapporti che il gruppo tiene con numerose società ed enti statunitensi, arrivando ad essere causa di rifiuto di acquisto di forniture di aziende del gruppo da parte di enti federali americani o di società private le quali però lavorano per la Difesa statunitense.[21]Proprio nella primavera la tensione giunge al culmine: il 4 aprile 1986 uno stormo di cacciabombardieri americani attacca una base navale libica presso Bengasi e la residenza dello stesso Gheddafi vicino a Tripoli, in ritorsione ad una serie di attentati contro basi americane e luoghi frequentati da americani, la cui responsabilità viene attribuita dall'amministrazione USA al governo libico. Poche ore dopo due missili libici cadono non lungi dalle coste dell'isola di Lampedusa. Dopo una trattativa durata qualche mese con i rappresentanti della banca libica la quota Fiat in mano ad essa viene riacquistata da una delle "casseforti di famiglia", l'IFIL (settembre 1986). L'operazione, studiata da Agnelli e Romiti con Enrico Cuccia, che vede coinvolte sia Mediobanca che la Deutsche Bank, è una manovra finanziaria complicata, che nel complesso riesce ma solleva molte critiche.
Nel 1987 Gianni Agnelli blinda il controllo della Fiat da parte della famiglia costituendo la Società in accomandita per azioni Giovanni Agnelli, nella quale confluiscono le partecipazioni degli ormai numerosissimi componenti della famiglia. Questa "tecnica" verrà presto utilizzata da altri industriali.
Inspiegabilmente, alla fine del 1988, l'artefice della potente ripresa dell'azienda sui mercati italiano ed europeo, Vittorio Ghidella, viene bruscamente allontanato dalla Fiat dopo essere stato sugli scudi per tanto tempo. Due anni prima lo stesso Gianni Agnelli, entusiasta dei risultati ottenuti da Ghidella, l'aveva pubblicamente indicato come il futuro successore di Cesare Romiti. Intanto incomincia a pesare anche in Italia la concorrenza di avversari temibilissimi: i giapponesi.
Al principio degli anni 2000, Gianni Agnelli, convinto che la Fiat non ce la farà da sola ad affrontare la sfida del mercato mondiale (fra il 1990 ed il 2001 la quota di mercato Fiat in Italia si è ridotta da circa il 53% a circa il 35% ed in Europa da poco più del 14% a meno del 10%), apre agli americani della General Motors (GM) con i quali conclude un'intesa: la grande azienda americana acquista il 20% della Fiat Auto pagandolo con azioni proprie (un aumento di capitale riservato alla Fiat) che valgono in totale circa il 5% dell'intero capitale GM e la Fiat ottiene una clausola put, il diritto esercitabile in questo caso dopo due anni ed entro gli otto successivi, di cedere a GM il rimanente 80% della Fiat Auto ad un prezzo da determinarsi con certi criteri predefiniti e che GM sarà obbligata ad acquistare. Sono previste inoltre fusioni fra società costituite da stabilimenti Fiat Auto e stabilimenti Opel, la consociata europea di GM, con sede in Germania.
L'accordo si rompe cinque anni dopo (sia FIAT che GM si trovano in grosse difficoltà) con un risultato opposto a quanto ipotizzato originariamente: non è la Fiat Auto che viene interamente ceduta a GM, bensì è GM che paga per evitare l'esercizio del diritto di cessione (clausola "put") da parte Fiat, cedendo a quest'ultima anche le quote GM di Fiat Auto. Le società operative miste, già costituite ed operanti, vengono sciolte ed ognuno si riprende la sua parte. La crisi economica del settore auto del Gruppo Fiat trova Agnelli già in lotta contro il tumore ed egli può partecipare ormai solo in maniera limitata allo svolgersi degli eventi.
Il 24 gennaio 2003 Gianni Agnelli si spegne a Torino nella sua storica residenza collinare Villa Frescòt (al confine con Pecetto Torinese) per carcinoma prostatico. La camera ardente viene allestita nella Pinacoteca del Lingotto, secondo il cerimoniale del Senato. Il funerale, trasmesso in diretta su Rai Uno, si svolge nel Duomo di Torino seguito con commozione da un'enorme folla. La moglie con una lettera aperta al direttore del quotidiano la Stampa ringrazierà poi tutte le importanti figure nazionali e internazionali, ma anche tutti i cittadini presenti a recare un ultimo saluto a suo marito.
È sepolto nella monumentale cappella di famiglia presso il piccolo cimitero di Villar Perosa.
La figura di Gianni Agnelli fu anche intimamente legata alla storia della Juventus, la squadra di calcio del capoluogo piemontese di cui fu nominato presidente nel 1947. Le sue quotidiane telefonate delle 6 del mattino al celebre capitano della squadra prima ed a sua volta Presidente poi, Giampiero Boniperti, effettuate da dovunque fosse, sono quantomeno leggendarie.
Gianni Agnelli fu presente anche nell'editoria, sia pure attraverso la Fiat. Il 100% del quotidiano La Stampa era, fin dal 1926, di proprietà della Fiat e lo è tutt'ora. Anche il Corriere della Sera lo fu per un terzo del capitale fino al 1974 quando Gianni Agnelli decise di cedere la partecipazione. Ci rientrerà dieci anni dopo acquistando attraverso la Gemina, società finanziaria collegata Fiat, poco più del 46% della Rizzoli, nel corso di una operazione di "salvataggio" della società editrice, che in quel momento era piuttosto malandata.
Nel 1974 Gianni Agnelli fu eletto presidente della Confindustria, il sindacato degli industriali. La sua politica fu una sorta di appeasementverso i sindacati nella speranza che l'asprezza delle lotte si mitigasse e fosse possibile così riprendere lo slancio produttivo. L'interlocutore privilegiato divenne Luciano Lama, segretario Generale della CGIL e responsabile della politica dei tre sindacati principali (la cosiddetta "triplice", cioè CGIL, CISL e UIL).
L'effetto principale fu l'accordo sulla cosiddetta scala mobile, il meccanismo di indicizzazione dei salari al costo della vita. L'accordo fu trovato, il meccanismo precedente fu modificato e fu anche abolita la differenziazione fra categorie: lo scatto di contingenza (importo mensile lordo da corrispondere in più ad ogni punto di incremento del costo della vita) diveniva uguale per tutti, dal semplice manovale allo specialista, al quadro impiegatizio della categoria più alta prima della dirigenza.
Agnelli lasciò la presidenza della Confindustria nel 1976: il suo operato fu successivamente fortemente criticato (l'accusa era quella di aver fatto delle concessioni troppo ampie, incompatibili con la situazione economica ed a lungo termine dannose anche per le maestranze, in quanto nel meccanismo di adeguamento si celerebbe un fattore moltiplicativo dell'inflazione). In compenso la conflittualità all'interno delle fabbriche non si ridusse, anzi si accrebbe e si aggravò, come dimostreranno i fatti negli anni subito a seguire.
Il primo incarico di natura pubblica lo ricevette nel 1961 quando, in occasione dei festeggiamenti per il primo centenario dell'unità d'Italia fu nominato Presidente dell'Esposizione internazionale del lavoro.
All'inizio del 1976 l'allora segretario del Partito Repubblicano Ugo La Malfa offrì a Gianni Agnelli una candidatura nelle liste del partito per le elezioni politiche che si sarebbero svolte in giugno e ad un primo momento parve che Gianni Agnelli avesse una certa intenzione di aderire alla proposta, ma poi declinò l'invito avendo nel frattempo il fratello Umberto accettata la candidatura nella Democrazia Cristiana (Umberto verrà poi eletto).
Nel 1991 venne nominato senatore a vita dall'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga: Agnelli si iscrisse al Gruppo per le Autonomie e venne ammesso alla Commissione Difesa del Senato.
Nel 1994 fu tra i tre senatori a vita (insieme a Giovanni Leone ed allo stesso Cossiga) a votare la fiducia al primo governo Berlusconi: per la prima volta nella storia d'Italia quei particolari parlamentari di nomina presidenziale erano decisivi nella formazione di un esecutivo.[29]
Nel 2000 fu ammesso come membro d'onore nel Comitato Internazionale Olimpico, carica che ricoprì fino alla morte.
Conosciuto anche come l'Avvocato, pur senza mai avere avuto rapporti con la carriera forense, Agnelli rappresentò la figura più importante, ed insieme più prestigiosa, dell'economia italiana, un simbolo del capitalismo durante la seconda metà del XX secolo, e da alcuni fu guardato come il vero "Re d'Italia".
Un uomo colto, dotato di un senso dell'umorismo sui generis, fu probabilmente l'italiano più noto all'estero, legato da relazioni di profondo spessore con banchieri e politici internazionali (alcuni dei quali, come Henry Kissinger, divennero anche suoi amici personali).
Fu uomo di grande eleganza: nel 2002 lasciò alla città di Torino un patrimonio in quadri, devolvendo così la sua straordinaria pinacoteca alla fruizione dei cittadini.
fonte: wikipedia
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